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Ortles — Ortler

Il 7-8-9 luglio 2006 è stato uno tra i più impegnativi ma soddisfacenti fine settimana di tutta la mia breve carriera escursionistica, in questi tre intensi giorni ho percorso la via normale all’Ortles (mt. 3905 di altitudine).

La gita è stata progettata da Luca del C.A.I. di Milano e Renate del D.A.V. di Monaco, con i quali avevo già trascorso le vacanze in Oberreintal nel 2004, ho colto al volo l’occasione per tentare l’impresa e per tornare nella bella Val Venosta; avevo sentito dire da amici che prima di raggiungere la base del ghiacciaio bisogna percorrere una cresta con passaggi di 2° e 3° grado non difficili e attrezzati con corde fisse nei punti più delicati, finita la cresta rimangono però ancora parecchi metri di dislivello su ghiacciaio ripido mentre negli ultimi 200 metri prima della vetta si cammina su morbide dune nevose.

Vi devo confessare una cosa: ero un po’ preoccupata perché ritenevo di non essere all’altezza di questa ascensione, avevo paura di cedere per la stanchezza o di mettere in difficoltà la mia cordata se mi fossi trovata davanti a qualche passaggio critico ma era tanta la voglia di provare (e anche grazie alle parole rassicuranti di Luca) così ho deciso di tentare e ho iniziato ad allenarmi con un po’ di trekking in montagna.

Venerdì 7 luglio – io e Luca partiamo da Milano con tempo instabile, mal che vada abbiamo 2 giorni per tentare la cima.

A Solda troviamo Renate, Vinzenz, Rilke, Hans, Nicola e iniziamo a salire verso il rifugio Pajer sotto una pioggia torrenziale.

Dopo una buona e abbondante cena notiamo che la pioggia si è trasformata in neve così per rallegrarci il morale passiamo la serata facendo qualche partita al “Gioco dell’Asino” e pensando a come trascorrere il sabato piovoso in rifugio.

Sabato 8 luglio – ore 7.00 – cielo nuvoloso ma non piove, dalle nostre brande sentiamo il tintinnio dell’attrezzatura delle prime cordate che si stanno preparando per l’ascensione, decidiamo di partire confidando nella fortuna, con poche speranze di raggiungere la vetta, se il tempo dovesse peggiorare faremmo dietro front per ritentare domenica.

Io sono in cordata con Luca come capocordata e Renate per ultima; percorriamo slegati il primo tratto di cresta, decidiamo di imbracarci all’apparire delle prime corde fisse.

Camminiamo e arrampichiamo nella nebbia e tra le nuvole basse ma ugualmente riesco ad ammirare e a farmi intimorire dall’ambiente severo e maestoso fatto di guglie e speroni rocciosi resi ancora più scuri dall’umidità, attorno e sotto di noi gli strapiombi scivolano fino a valle, ogni tanto nella nebbia si sente il rotolare di qualche sasso.

Dopo più di due ore passate in cresta dobbiamo percorrere un traverso lungo un colatoio di ghiaccio vivo coperto di detriti lungo forse 100 metri, lo attraversiamo con l’aiuto di piccozza e ramponi, da qui inizia il ghiacciaio.

La prima parte del ghiacciaio è molto ripida, in alcuni punti raggiunge la pendenza di 45 gradi ma a parte il tratto iniziale dritto, la traccia sale zigzagando tra i crepacci. Nel punto iniziale ho affrontato anche il mio primo breve passaggio su roccia con i ramponi (saranno stati 3 metri al massimo) che emozione! E che fatica! Alla nostra destra, distanti un centinaio di metri, la parete finale di una muraglia di ghiaccio formava larghi seracchi dalle sfumature grigio-blu; nubi nere viaggiavano veloci sopra le nostre teste, Luca è indeciso se proseguire o meno quando ci accorgiamo che appena sopra di noi c’è il gruppo di tedeschi partito anch’esso insieme a noi così decidiamo proseguire e accodarci alla loro traccia, c’è neve fresca lungo tutto il percorso, si sale a zig zag per diminuire il forte pendio del manto nevoso, si affonda e si fa fatica, qui inizio a preoccuparmi che le forze non mi bastino, c’è ancora tanta strada, tanto dislivello e poi tutta la discesa, mangio e bevo poco e sovente per mantenere le energie: voglio CONQUISTARE la vetta!

Si parla poco tra noi, raggiunto il pianoro un vento gelido fende la pelle del viso, le nuvole spostandosi permettono di vedere in basso, lontani, i prati attorno a Solda: che pace laggiù e noi qui a soffrire il freddo e la fatica per l’orgoglio di scalare una montagna! Non saremo un po’ matti?

Durante gli ultimi 200 metri di dislivello mi sento a pezzi, cammino lentamente, arrancando nelle orme di Luca, sprofondando in qualche buco, ho fame e ancor più sete, sento la corda tesa davanti a me (che vergogna) e la voce di Renate dietro che mi incita a proseguire: “coraggio! Manca poco!” ed è vero! Vedo la vetta, scorgo il suo profilo nella nebbia e l’ultimo pezzo è quasi pianeggiante; mi si apre il cuore, quella visione mi fa stringere i denti e raccogliere le ultime mie forze: è fatta! Ci abbracciamo, ci baciamo! L’Ortles è nostro! Sono le 12.30 circa.

Un breve riposo, mangiamo e beviamo velocemente perché il tempo sta peggiorando in fretta e bisogna scendere, incrociamo la nostra seconda cordata: Hans, Nicola, Vinzenz, Rilke e scendiamo tutti insieme. Il ghiacciaio lo percorriamo abbastanza velocemente, sulle boccette però bisogna prestare più attenzione per non scivolare e finire direttamente a Solda “volando”, nei due punti più delicati scendiamo in corda doppia ma la grandine riesce ugualmente a sorprenderci e ad accompagnarci dalla seconda metà della cresta fino al rifugio Pajer.

Procedo per inerzia, non ho addosso un indumento asciutto e nemmeno dentro lo zaino, la mia preoccupazione maggiore però è di arrivare sana e salva al rifugio, le roccette della cresta sono bagnate e scivolose le fessure per appoggiare mani e piedi sono piene di chicchi di grandine.

Si parla sempre meno tra noi, siamo tutti concentrati, ci diamo solo consigli per la discesa o comandi per la cordata, siamo tutti molto stanchi.

Tra la nebbia grigio scuro, la grandine e le fitte gocce di pioggia, finalmente, il rifugio mi appare come un miraggio; soltanto nell’anticamera, all’interno e al caldo accanto alla stufa, tolti vestiti e scarpe fradice i nostri volti si rilassano e ci abbracciamo contenti dell’impresa, tra scoppi di risa.

Per festeggiare il nostro Ortles ordiniamo birra per aperitivo, cena e doppio snaps! Poi andiamo a letto morti di stanchezza ma con gli occhi raggianti di felicità.

Domenica 9 luglio – Dopo aver salutato la rifugista, ringraziandola per l’ospitalità, scendiamo con calma a Solda soddisfatti, in una bella giornata di sole.

 

Manuela Bruschi